Gabriele Zarotti

Le frasi strafatte.



(Ognuno di noi dovrebbe avere diritto ad una  modesta dose di certe parole. L’abuso può nuocere gravemente alla salute del prossimo, e il danno è spesso irreversibile.)
 
 
        La creatura, appena liberata dal cordone ombelicale, prima ancora degli strilli di rito, emise queste parole:  - io, nella misura in cui sono nato, consentitemi… mi corre l’urgenza… nonché l’obbligo…- Non fece in tempo a terminare la frase, che una fontana di pipì irrorò le esuberanti tette della bionda infermiera, abituate, con ogni probabilità, a ricevere ben altro.
        Questo eloquio stereotipato precoce, nella nostra città, era ormai un fatto ricorrente.  Anni addietro, quando il fenomeno aveva cominciato a manifestarsi, si era ricorsi inutilmente all’esorcista. Poi la gente si era assuefatta e, a poco a poco, tutto era entrato nella normalità.  Faceva parte dello specifico umano. Tanto che, quando il bebé si limitava a strillare, veniva consultato d’urgenza lo stereotipista. Un medico logopedista, specializzato nel curare l’assenza di stereotipi linguistici nella prima infanzia.  Niente di particolarmente grave: era sufficiente seguire una opportuna terapia  rieducativa, per far riemergere quella che era  da considerarsi  ormai una vera e propria eredità genetica. Stampa, radio, televisione, Rete compresa, esercitavano da anni questo influsso nefasto. La manipolazione mediatica mieteva più vittime dell’aviaria. Bastava che un giornalista scrivesse per tre volte di seguito nella misura in cui;  un anchor-man usasse come intercalare ca va sans dire; un politico pronunciasse dirimente che, dopo pochi giorni, tutti  facevano eco come tanti pappagalli. Anche gesti come il virgolettare con indice e medio delle mani facevano le loro vittime. Ma le parole molto di più. Era un vero e proprio contagio. Un’epidemia. I pochi che scampavano venivano  guardati con sospetto e  inesorabilmente isolati.  Interdetti a ricoprire pubblici impieghi. Banditi dal contesto sociale.
        Spesso l’abuso, e una sorta di incontenibile trasporto logorroico,  portavano le persone a utilizzare molti stereotipi in modo improprio. Sembrava che parole e frasi  piacessero più per la loro forma, per il loro suono accattivante,  che per il loro reale significato. Il mi consenta svettava nelle hit, seguito a ruota da un attimino. A scuola, gli studenti di ogni età, genere, grado, quando interrogati, esordivano con un  mi consenta, al quale si sentivano autorizzati di far  seguire una serie infinita di cazzate. E l’ insegnante terminava , senza  la benché minima ironia, con un: - mi corre l’obbligo di elargirle un quattro.  
       
        Attimino
piaceva a tal punto che non solo aveva sostituito i sostantivi attimo e momento: si diceva ormai attimino fuggente, attimino di gloria, attimino culminante, ma si era fatto così spavaldo da minacciare  anche l’avverbio poco.   Sono un attimino indisposta. Sono un attimino esterrefatto. Sono un attimino provato. E via di questo passo. I testi scolastici erano stati riscritti secondo la nuova tendenza.  Una commissione speciale alla cultura aveva iniziato una sorta di revisionismo letterario.  In pratica stava verificando la possibilità di adeguare alla moda dei tempi la produzione poetica e narrativa del passato. Si era perfino pensato di ritoccare, ma solo formalmente, Costituzione e Inno Nazionale.  Così, per un puro fatto estetico.
        Andavi al ristorante, non facevi in tempo a sederti, che il cameriere ti sciorinava il menù, terminando con un più che promettente : - … e quant’altro!
        La migliore sartoria della città aveva sostituito la sua storica insegna con la seguente: Cacace Vincenzo, sarto diplomato, esegue abiti ad personam.
        Mentre sul muro perimetrale del canile era comparsa la scritta:  Freedom for dogs!  Viva le leggi ad libertatem!
        Nei supermercati c’era un’ intera corsia, teste di gondola comprese, da dove enormi barattoli di Marmellata Mediatica,  gustoso mix tuttifrutti, esercitavano il loro irresistibile richiamo. Il prodotto andava così forte da insidiare i volumi nazionali della Nutella.
        La notte, se le pareti dell’appartamento erano sottili, non era raro sentirsi deliziare con: - Sì,  sì… ecco… così… procedemus… senza se e senza ma… e vai… con questo grande fratello!
        Al mattino, quando uscivi di casa, il custode ti salutava con un  sorriso arginato solo dalle orecchie e aggiungeva:  - Siamo finalmente usciti dalla morsa del freddo.  Stamane si percepisce una temperatura di venti gradi, eppure, chi lo direbbe… il termometro ne registra solo diciannove !  
        Il panettiere di Via Di Tacco stava per inaugurare il secondo forno.
        Il negozio di abbigliamento più in della città aveva lanciato la moda dei pantaloni senza tasche. Visto che nessuno ormai aveva più l’intenzione di metterci le mani.
        All’angolo della strada, davanti al chiosco del giornalaio, il garzone del panettiere strillava come un ossesso: - Tutta colpa della spirale di violenza innescata da sti  Bingo Bongo… te lo dico io… tolleranza zero ci vuole, tolleranza zero e niente prigionieri! niente sconti!
        Una settimana fa, dal barbiere, un povero malcapitato, agitandosi sul seggiolone, protestava, indicando le basette:  - ma sei cieco? o cosa? lo vedi che non sono equidistanti!
        Le peripatetiche che stazionavano lungo i viali alberati del centro e della periferia approcciavano così i loro clienti:  - Andiamo, bel mattarellum, ti faccio dimenticare il Paese reale. Ti faccio un inciucio completo con road map nel didietro e convergenza parallela sul davanti… da lasciarti lì con la pistola fumante.
        Mentre, lungo le sponde del fiume, i trans rilanciavano:  - Vieni, vieni… tocca sto capitale sociale…. blindami tutta, hai l’autorizzazione a procedere. Ti risveglio tutte le cellule dormienti. A trecentosessantagradi.   Elettorato attivo e passivo: libero accesso a tutti!  Nihil ostat.  Non c’è niente di irricevibile… - E tutti accorrevano a  schieramenti.
        La signora Maria, l’ortolana del mercato comunale, roteando verso il cielo il suo bel braccione a prosciutto, imprecava, tra una chilo di limoni e mezzo di pomodori:  - Ma  che pesi e contrappesi, prima o poi scendo in campo  io e allora… -   mettendo le mani a coppa sotto il seno, proseguiva ridacchiando:  -…. gliele dò io ste quote rosa!
        Era sempre più frequente che un extracomunitario si avvicinasse e, con voce baritonale,  sussurrasse: - Gimmi fai... gimmi, gimmi, gimmi fai… hei, grande fradelo, guarda ghe golana. Dai, cosa asbedi, lanciami un’oba bubblica!
        Ogni mattina, l’imbroglione nel tunnel della metro muoveva all’impazzata le sue tre carte, gridando a squarciagola: - E vieni, bello, su, cosa aspetti… delle due l’una… delle due l’una... - A chi gli faceva sommessamente notare che le carte erano tre, rispondeva minaccioso: - E lasciami lavorare! Ci tieni davvero ad assaggiare questo zoccolo duro? Vuoi proprio che ti traghetti all’ospedale!?
        Sul tram 29, un vecchio pensionato ripeteva ogni giorno stizzito:  -… e non mi tiri per la giacca… si faccia più in là che ho un nervo scoperto!
        Lettere, pacchi,volantini, come arrivavano, venivano automaticamente rispediti al mittente, alla stregua di epiteti, insulti, e commenti non graditi. Presso gli ospedali si praticavano solo interventi ad orologeria. Nei circoli culturali i dibattiti languivano. Da quando gli oratori avevano preso il vezzo di porre la fiducia. L’anagrafe era stata sostituita con l’Ufficio DNA. Tanto ormai tutto faceva parte dalla spirale del genoma. Ogni ostacolo, ogni imprevisto, ogni difficoltà che si mettesse di traverso al fluire sommesso e pacato della vita era etichettato come insostenibile laccio e lacciuolo.
        Ai giardinetti pubblici un ultraottantenne, nel congedarsi dalla sua ultrasettantenne ragazza, fu udito sospirarle: - Posso  messaggiarti stasera?   
        - Purché non ci sia scatto alla risposta e… una tantum, mi raccomando!   I miei mi sottopongono a continui chek.
        Durante una cerimonia funebre, il celebrante, rivolgendosi alla vedova del dipartito, disse:  - Uno tsunami si è abbattuto sulla tua fragilità di donna, speriamo Dio, nella sua grande saggezza e bontà,  voglia spalmare pietosamente questo insostenibile dolore nel tempo.
        A proposito di spalmare: un pubblicitario della filiale locale dell’ Agenzia americana NPCDVZKT & BVFHJL  Inc., preso da raptus esotico-solecistico, per  far sfoggio di creatività e padronanza dell’inglese, coniò il termine spredare.  Il novello Alighieri lo usava con malcelato orgoglio in tutti i meeting, ogni volta se ne presentava l’occasione.
        Tutte le domeniche, nella cattedrale gremita di fedeli, il vescovo terminava la sua omelia tuonando: - Fratelli e sorelle,  chi non ha macchia scagli la prima pietra e, comunque, ricordate: il Signore non unge mai a caso, opera le sue scelte con giustizia e  libertà, per il bene del Paese. Perché solo Dio è veramente bipartisan! Amen!
        I medici non parlavano più di malattie psicosomatiche, ma di affezioni virtuali. E i pazienti mandavano sempre più spesso in ambulatorio i loro avatar. Tutti, generazioni del pollice e generazioni dell’indice, si esprimevano ormai solo in omologhese. Nessuno premeva più qualcosa, ma si cliccava all together, appassionatamente. Tanto che il coreografo sudamericano della scuola di ballo Sconvolti & Tarantolati aveva inventato la Clickka-Clickka Dance: nuova febbre del sabato sera. Gerghi, parlate, dialetti, fonte inesauribile di saggezza popolare e tavolozza del parlare comune, erano caduti vittime, insieme alla lingua dei nostri padri, di questa insaziabile  glottofagia galoppante. E purtroppo, in questo clima di assedio ad una lingua a dimensione d’uomo, qualche mano intemperante era arrivata ad appiccare  fuoco alla succursale cittadina dell’Accademia della Crusca.  Nessuno se ne era dato pena più di tanto. Anzi. I pompieri, prontamente accorsi, erano rimasti lì, impalati, a guardare rapiti le fiamme. Fino all’ultimo.
        Ormai i luoghi comuni avevano permeato la società, erano diventati tormentoni, parole d’ordine, necessità, droga,  simboli d’appartenenza. Cosa avrebbe pensato un malcapitato turista lappone che si fosse trovato a passare per la città? Probabilmente che ci voleva l’intervento della guardia nazionale.  La deportazione di massa in una comunità di recupero. O, ancor meglio, una disinfestazione all’antrace. Non c’era strato della cittadinanza che fosse immune da questo delirio. Ma il peggio era che l’omologazione della lingua procedeva di pari passo con l’omologazione del pensiero. E c’era chi ci marciava.  Eccome se ci marciava! Approfittava di questa facilità ricettiva dei cittadini, per praticare subdolamente una sorta di lobotomia dolce. Per trasformare lentamente quelli che erano ancora stereotipi sintatticamente ben articolati e significanti in una diarrea senza senso, ma eufonicamente  inebriante.
       
        L’altra sera il sindaco si era così rivolto, reti unificate, alla cittadinanza: - Cari elettori, lo status quo, richiede una moratoria e un chek-up. Quando scatta il campanello d’allarme, bisogna che volgiamo i nostri sforzi  a trovare la quadra. Navigare a vista, tenendo la barra dritta, non basta più. Occorre un approccio programmatico ispirato ad un cauto ottimismo, ma con un gradiente di concentrazione massimo. Senza doppipesismi, omissis, falsi ideologici, o fughe in avanti. Anche se franchi tiratori con le pistole fumanti, giudici politicizzati dalle toghe sporche di rosso, ostacolano il nostro piano per consegnare alla storia un quadro politico virtuale, che ci consenta di sdoganare e traghettare, per così dire, attraverso una blindata road map, il teatrino della politica verso un welfare a trecentosessantagradi. A ciò ci si deve contrapporre senza populismo, demagogia, dictat, irricevibili veti incrociati. Senza calpestare diritti, peones, bamboccioni, pianisti, astensionisti, gauchisti, cattocomuinsti e cattofascisti. Basta con le pause di riflessione, le prorogatio, i question time, i quorum, il numero legale, i referendum, i girotondi, i sit-in, i processi di piazza, i silenzi assensi. Ciarpame politico radical chic. Marmellata mediatica e melassa buonista che costituiscono il legittimo impedimento alle riforme strutturali. Basta con le manovrine,  gli aiutini di Stato, qui ci vuole un Piano Marshall epocale; e se servirà: un po’ di mattarellum superpartes, generalista, urbi et orbi, in modo uniforme, non a macchia di leopardo. No agli inciuci, dipietrismi, non expedit, nihil ostat,  ipse dixit, opposti estremismi. Ma una stanza dei bottoni, una cabina di regia, una task force con un think tank  e un brain trust che, con le mani  pulite, attui, hic et nunc, una energica moralsuasion sostanziata e globalizzata. Un approccio ecumenico senza moratorie e lodi vari. Se servirà: una solidarietà bipartisan tout court. E allora diciamo sì al garantismo. Sì ad un quadro pensionistico, ad un tavolo delle trattative che normi senza infingimenti. Con queste parole politically correct, e aspettando gli exit -poll e gli spoil systems, il vostro unto del signore si congeda e vi augura la buonanotte.
        Chi aveva assistito alla trasmissione era tonificato, rivitalizzato, estasiato. Nelle case. Nelle piazze. Nei bar. Nelle scuole. Nelle chiese. Nei palazzi di giustizia. Nelle caserme. Negli ospedali. In ogni dove, era  un entusiastico coro di consensi; un tripudio di osanna. Altro che pellegrinaggio a Lourdes. Questa era taumaturgia in diretta.  Musica divina per le orecchie.  Sublime ambrosia.  Infallibile Viagra per il corpo e per la mente.
        La mattina seguente non c’era chi non sottolineasse e lodasse la performance del primo cittadino. Le donne impazzivano per lui. Gli uomini stravedevano. Qualcuno pensava già di dedicargli una via. Altri di erigergli un monumento equestre. Cattolici e non gridavano in coro, lacrimando come madonne: - Santo subito!  
        I sondaggi, rotti gli argini, erano schizzati alle stelle. Il glorioso Cinema Rex veniva ribattezzato Cinema Sua Eloquenza. La grande sala oceanica, con schermo Superscope Surroundsound, cedeva il passo a trenta loculi, con relativi Macro Scenari a sonoro Omnicomprensivo.
       
        Insomma, quando tutto  sembrava  ormai avviato a trasformare questo luogo in  una sorta di Estrema Thule, popolata da aspiranti cyborg, fece inopinatamente  la sua comparsa, nei cessi pubblici della città, questa delirante scritta : La parola nasce per sviluppare la nostra personalità. Attraverso la parola si esprime la nostra creatività.  Si afferma la nostra libertà. Farne un uso pigro, sciatto, e senza fantasia, è un insulto alla nostra intelligenza. Ma soprattutto un attentato a quella degli altri.
        Le mezze stagioni non c’erano più da un pezzo. Ma, per fortuna, la speranza sembrava rimanere sempre, coerentemente e caparbiamente, l’ultima a morire.
       
 
 

All rights belong to its author. It was published on e-Stories.org by demand of Gabriele Zarotti.
Published on e-Stories.org on 23.02.2015.

 
 

Comments of our readers (0)


Your opinion:

Our authors and e-Stories.org would like to hear your opinion! But you should comment the Poem/Story and not insult our authors personally!

Please choose

Articolo precedente Articolo successivo

Altro da questa categoria "Satira" (Short Stories in italiano)

Other works from Gabriele Zarotti

Vi č piaciuto questo articolo? Allora date un'occhiata ai seguenti:

La ricerca dello Zeitgeist. - Gabriele Zarotti (Fantasia)
Heaven and Hell - Rainer Tiemann (Humour)