Mauro Montacchiesi

...sussurri

SILLOGE: SUSSURRI

*

In questo giorno

 

Nella pioggia

umida e grigia

errare senza meta:

sensazione insolita!

Ogni foglia è muta

ed ogni brezza!

Tra loro non si vedono

i lampioni!

E’ silente ogni cosa!

C’è solo il ticchettio

mesto della pioggia!

La terra mi sembrava

d’affetti e di calore colma,

nella mia esistenza

allorché il sole splendeva!

Non più affetti,

né più calore sento,

in questo giorno,

mentre la pioggia grigia cade!

Non c’è uomo che possa vantarsi

d’esser vero sapiente

se della pioggia grigia

la tristezza non conosce!

La pioggia grigia,

che da ogni cosa

lo rende alieno,

con la sua inesorabilità,

con il suo dolce,

inquietante dolore

*

CRISIPPO DI SOLI

Crisippo e il Lògos

 

Tra i venti di Atene e le polveri di Soli,

fiero filosofo, Crisippo s’innalza,

calco di pensiero eterno che scorre,

tra ombre di pura logica e sillogismi.

 

I giorni del cosmo, li contano le sue dita,

le leggi supreme, enumerando nel vuoto,

e una fiamma nell’aria il Lògos diventa,

un respiro che qualsiasi stella o essere, avvolge.

 

Nel sorriso che, come sacro fuoco, esplose,

l’antico maestro, nel riso si smarrì,

mentre ignaro, l’asino i suoi fichi rubava,

e il mondo, senza fine, con lui rideva.

 

Nel tempo, scolpito, rimane Crisippo,

nel pensiero che vola, nella quiete del vento,

di enigmi custode, dell’Essere signore,

colui che, del cielo, il senso calcolò.

 

*

Quiete infranta

 

Simili a squarci di spade mute,

lasciamo cadere gocce di dolore.

Quiete infranta,

menti che non sanno abbracciare i cuori.

Così,

lasciamo cadere gocce di dolore.

Però non riusciamo a separarci dall’amore,

dall’amore, che è vita.

Ed è l’ultima speranza, l’amore,

che è l’unica cosa che attacca come la colla,

che non ha bisogno di parole, che fa sognare:

l’amore che ci appartiene.

La casa resta vuota: un fremito,

tu ed io, abbracciati.

Un porto, una nave.

Baci che sanno di mare.

*

Anassimene di Mileto

Anassimene, figlio del Vento

 

Io, Anassimene, figlio di Mileto,

che all'aria dono forma e anima,

con l'alito mio respiro il cosmo,

che tutto abbraccia e tutto rigenera.

 

Non acqua né apeiron sfuggente,

ma l'aria, soffio invisibile e denso,

che, condensata, diventa pietra,

e rarefatta, fuoco nei cieli.

 

Così si svela il segreto eterno:

un respiro che s'allunga e si fonde,

che il caldo e il freddo danza e scontra,

e l'universo tiene stretto, unito.

 

Come l'anima mia, che è aria e vita,

io avvolgo il mondo, lo cingo e respiro;

ogni cosa che nasce e si dissolve

è fiato mio, eterno soffio vitale.

*

In un diadema variopinto

 

E ti balocchi

come vela di prua nella brezza marina

a ciascun trionfo del sole che bacia tiepido i fiori

con i bagliori improvvisi

con gl’intensi lucori dell’immenso creato

per le stelle trovando un segreto passaggio.

Come ospite evanescente

fluorescente lucciola serale

ti posi sui boccioli  sulle sorgenti

fulgenti di riflessi lunari.

Sei tu come questa rosa rossa

che la mia anima scossa respira

ti pitturo nei miei sogni

ti catturo nella mia mano

con le penetranti tue spine

coi tuoi odori sempre vibranti

con i tuoi vermigli petali

ora di fuoco

ora terribili artigli.

Da quando il mio amore è sbocciato

da quando assedia le mie gambe il tremore

non riesco più a vederti ad altra simile

perché mi sconcerti.

In acquerello voglio ritrarti

pitturarti col pennello

in un diadema variopinto

bianca blu

d’un giacinto amica rosa.

Nella notte che ha ceduto a questo giorno

quando solo frastorno è il silenzio

la coda di una cometa faceta e sorniona

ha costruito i tuoi occhi

del mio respiro balocchi preziosi

tra i brillanti di Orione nel loro magico alone

ed io ho visto te mio felice imprevisto

prim’ancora  che tu nascessi

agl’ingressi del paradiso.

*

DIOGENE DI SINOPE

Diogene e la Lanterna

 

Nel cuore di Atene, cammina il filosofo,

un uomo senza possesso, una scodella gettata,

libero come il vento, ruvido come la pietra,

cerca tra i volti, tra le ombre, la sua preda.

 

Con la lanterna accesa in pieno giorno,

scruta nell’aria, indaga negli occhi spenti,

non cerca l’onestà, né l’inganno,

ma l’uomo puro, spoglio delle sue catene.

 

Il sole ride su di lui, mentre risponde al re:

"Spòstati, Alessandro, mi rubi la luce!"

E mentre il mondo si inchina a potere e oro,

Diogene resta, padrone della sua natura.

 

Per lui, ogni piacere è peso da abbandonare,

ogni ricchezza è un legame, una bugia.

“Uomo!” – invoca, ma trova solo l’eco,

in un mondo che ha perso la sua essenza.

 

Diogene vive, cinico e fiero,

nella botte che chiama casa,

e per chi non lo capisce, poco importa:

lui è il cane, libero, a guardia della verità.

 

*

Sentirai

 

Avida rapace corsara

nei sentimenti

priva di scrupoli.

Mi hai depredato del sogno.

Il mio dolore non ha più lacrime.

Non infesterai più i miei sogni.

Li hai disillusi con un bièco abbandono.

Del mio cièlo hai fatto un manto

di plumbei castelli

di rarefatte chimere.

Le pene dell’inferno

questo ho provato.

Sentirai

l’umido freddo dei nembi

il rovente calore del fuoco.

Nelle tenebre vagherai

dove fiamme oscure sono la luce.

Voglio devo

depurarmi di te.

Al tuo egoismo

può sembrare utopia

ma nella vita voglio

continuare a sperare.

E tuttavia mi manchi…

*

PARMENIDE

Parmenide e il Canto dell'Essere

 

Nel silenzio della notte,

cammina, Parmenide,

verso la dimora eterna della silente dea,

non più uomo,

ma radiosa ombra

che in sé,

l’Essere interamente accoglie.

"Ode il richiamo?

È una voce che non svanisce",

così pensa,

mentre nel suo io immutabile sprofonda,

più in là del divenire,

dove falliscono i sensi,

e mutante,

si dissolve il mondo illusione pura.

"La verità è infinita, immobile,

senza morti né nascite,"

nei confini della sfera perfetta,

la dea sussurra:

"E nulla che è può mai non essere."

Parmenide, lì,

 in quel pensiero d'acciaio,

trova la pace.

Come la notte eterna,

immortale,

sopra il mare delle apparenze,

si eleva,

e d'un oro freddo,

diviene il suo canto

dell'Essere:

indivisibile, uno, eterno.

 

*

…nel gelo del vuoto

 

Ho scompigliato l’ordine dei giorni,

ho scompigliato la luce ed il buio.

Frammenti di te e di me,

disordinatamente sparsi,

nel gelo del vuoto,

che hai lasciato fuggendo.

*

TEOFRASTO

Teofrasto e il Respiro della Natura

 

Nato tra i venti di Lesbo,

con occhi attenti,

osserva Teofrasto,

del mondo il respiro,

sfogliando foglie come antiche pagine,

in ogni vena cercando,

della vita il segreto.

 

Di essenze custode,

di piante Maestro,

della natura paziente,

svela i misteri,

con le mani che sfiorano

radici e fusti,

nei fragili petali

coglie saggezza.

 

Degli esseri vivi,

la giustizia sussurra,

l’anima difende,

dell’alloro

e del biancospino.

Alla pietà dei silenzi

l’uomo invita,

al rispetto di quel cosmo

che a ognuno appartiene.

 

Assorto e immobile,

rimane Teofrasto,

dei suoi pensieri,

nel verde silenzio

della vita discepolo,

mite filosofo,

testimone dell’eterno vincolo

con la terra.

 

*

Nel sibilo del vento

 

La mia anima è pura,

te la voglio regalare.

La mia anima,

un tassello nel mosaico

costruito dallo scandire del tempo,

che fonde la mia essenza nella tua,

nel passato, nel presente, nel futuro,

nel sibilo del vento, che fugge lontano.

*

Ed infine tu

 

E pian piano, ti sei plasmata,

germogliando dalle mie fantasie.

Tu, gitana nei miei sogni.

Frenetiche palpitazioni, le mie.

Ed infine tu,

hai deciso come, hai deciso quando,

l’invasione del mio universo,

meticolosamente, dall’alto studiando,

gli spasmi della mia anima,

i boccioli di rosa, lì gemmati per te.

*

Farfalla dal sorriso di luna

 

Sei venuta dal giardino,

variopinta e leggera,

farfalla dal sorriso di luna,

e volteggi smarrita,

in questo recesso privo di luce,

in questa brughiera di cupo dolore.

Farfalla dal sorriso di luna,

ribellati a questa brughiera arida,

e librati in volo verso la bianca azalèa.

Farfalla dal sorriso di luna,

sussulto della mia fantasia,

batti le ali verso la gioia,

fallo per me che non posso volare.

*

Allucinazione

 

Diserzioni dalla verità

colori di stelle deluse

mostruosi disumani

preistorici pterodattili

che sibilando picchiano

tra diamanti carogne

da ogni parte schegge di roccia

miniere di gemme preziose

cave di selce banale

aloni magici di bagliori intensi

le tenebre il silenzio

e poi il nulla

vago sul fondo del mare

mi sento controllato

qualcuno scruta questo mio vagabondare

qualcuno scruta i miei sogni

i segni che lascio laggiù

antri caverne marine

anse ricurve lische acuminate

riverberi cupi di voci di suoni

dispersi nel nulla

baratri oceanici

esploratori della notte del tempo!

*

Colomba dei miei sonni felici

 

Ti adoro,

così priva di angosce, di ansie.

Sembra quasi

che la tua mente sia altrove,

volata via,

in cieli infiniti.

E con languidi sguardi

mi presti attenzione,

poi con distacco.

Le mie parole

or neppur ti lambiscono.

Ho l’impressione

che nella fantasia

si siano eclissate le tue pupille,

che le mie labbra

abbian sigillato,

dolci e vermiglie,

le tue!

Ogni elemento intorno

rigurgita del mio immenso sentimento,

e tu rigurgiti degli elementi,

pregna del mio sentimento.

Candida colomba dei miei sonni felici,

sei affine al mio sentimento

e a quell’emozione chiamata nostalgia.

Ti adoro, così tranquilla, serena,

sembri smarrirti nei meandri del tempo.

Or par che ti duoli,

fragile colomba che candida geme.

E mi presti orecchio, con distacco,

e sento che le mie parole,

sterili,

a te non arrivano.

Permetti ch’io resti sereno

con la tua tranquillità,

luminosa come di notte una fiaccola,

sobria come una margherita di campo.

Somigli al tardo vespro d’agosto,

tiepido, muto e trapunto di stelle.

La tua tranquillità appartiene

alle stelle della notte.

La tua tranquillità,

così remota e sobria.

Sei il mio desiderio, così serena,

sembri quasi distratta,

assente, desolata,

quasi priva di vita.

Ma ecco,

è sufficiente un tuo sguardo fuggente,

la dolcezza delle tue labbra,

ed esplodo di felicità,

perché sei l’essenza della mia vita.

*

…spazio dei sogni.

 

Il mio cuore bambino

si è vestito spesso

di candide piume di alcione

ed è volato nel cielo turchese,

fino all’infinito spazio dei sogni.

Poi, ogni volta, con amara delusione,

la vita lo ha risvegliato alla cruda realtà.

E scorrevano giorni di sole,

e scorrevano giorni di pioggia,

quando quasi lo lasciavo recluso

nel cupo scrigno dell’oblio.

Tuttavia,

il candido alcione

non ha mai cessato di piangere,

stridulo,

in questo mio cuore bambino.

E così, ancora oggi,

l’immortale Peter Pan

che in me trova ostello,

continua a credere

che le favolose chimere,

diventeranno

un incantato mondo d’amore!

*

…dolcemente blandiscono

 

Queste foglie autunnali,

languidamente variopinte,

nella loro struggente solitudine,

lentamente si dileguano,

tra le spire del vespro che nasce.

Amorevoli,

dolcemente blandiscono,

le psichedelie astrali,

della mia labile mente,

che si strugge per te.

*

…come fiocco di neve

 

Sembravi una campanula,

scossa dalla brezza serale,

quando per la prima volta

t’abbracciai.

Effimera,

come fiocco di neve maggenga,

svanì la passione,

nella delicatezza tenue,

di un’alba che nasce.

*

…verso mondi lontani

 

Si susseguono i giorni

e la mia mente vola

spesso distratta

verso mondi lontani

e lì racconta di te, di noi,

del nostro respirarci,

così eterno, sempre più,

ogni giorno sublime.

*

Un’esistenza

 

Il mio spirito è consunto,

lacerato poco a poco

dall’azione incessante

di un mondo che non lo riconosce

e che non riconosce.

Un’esistenza

che non ha conosciuto amore,

ma che amore bramava.

L’innata natura di spirito libero

che cozza con gli stereotipi

perbenisti e dispotici delle ipocrisie

e dei gretti pregiudizi.

Un miserabile abbandono,

abissale, insormontabile,

che incessantemente tenta

di elevarsi sopra le durezze della vita,

sopra le sue brutalità, sopra le sue regole.

Uno spirito, il mio,

recluso nel suo guscio,

obbligato a subire

la magniloquenza tronfia

di un mondo meschino.

*

Il saggio

 

Il mondo prova

un senso di angoscia,

di sospetto,

verso l’uomo

che nulla più ignora

della propria anima.

Quest’uomo ha

un alone energetico

un potere di suggestione,

di attrazione,

un ascendente,

una forza di persuasione,

capaci di emancipare

le menti più verdi

e più profonde

dalle catene

del pavido conformismo.

Quest’uomo è il Saggio,

che il mondo

non riesce ad incatenare.

Un ingegno magno,

riuscito a scendere

nelle profondità più estreme

della sua anima.

Non può essere compreso

dal mondo.

Il Saggio

è come quella forza occulta

che genera caos.

Il popolo non ama

essere destato dall’oppio

della propria miseria.

Il popolo vive

nello stereotipo

della desolazione.

Il Saggio non è desolato

ed il popolo

lo considera un alieno,

perché non riesce

ad integrarlo.

Il Saggio è l’invasore

extraterrestre del pianeta.

Non rientra in qualsivoglia

stereotipo.

Non conosce limiti o confini.

Il Saggio è forte, straordinario.

Gestisce la propria volontà,

la propria sorte.

E’ irradiato dal sole,

sorgente di luce.

Dalle sue mani

sgorgano fiamme,

le fiamme della rivelazione,

premio della rinuncia.

Il Saggio è un principe,

poiché ha disintegrato

la schiavitù dell’ipocrisia.

Il Saggio si è plasmato,

ha aperto la sua mente

all’energia del creato.

Ha risalito gli abissi

dell’oscurità.

Ha reciso i legami

senza forma

con il suo Io precedente,

senza coscienza.

Il Saggio è diventato

Araba Fenice,

airone dalle piume d’oro,

fiammeggianti.

E come l’Araba Fenice,

che si nutriva di rugiada

e volava verso terre

straniere,

così lui, il Saggio,

si nutre di sapienza

e vola verso il cielo.

Il Saggio ha un grande coraggio,

perché vive nella luce della verità.

*

Il cielo qui piange

 

Sbuca dall’arcano scrigno del nulla

e violento ruggisce il maestrale,

come un leone braccato, ferito.

Sibila, repentino s’incunea

tra le mille crepe rugose dei vecchi,

scricchiolanti battenti.

Azzanna i freddi cristalli appannati.

Più non c’è una volta celeste.

C’è un soffitto di tetri,

nell’aria vaganti folletti.

I maestrali qui

si danno convegno,

come le streghe a Valpurga,

come ad un sabbath,

ma poi trovan finalmente la requie.

Plumbeo il cielo,

qui piange lacrime fredde.

Gli storni, terrorizzati,

veloci volano via,

senza voltarsi, senza fermarsi.

Il maestrale.

Il nordico, gelido maestrale.

Ho tanta energia per oppormi

degli umani crudeli alle ingiurie,

ma nulla assolutamente posso

contro l’impeto travolgente della burrasca,

che scatena labirintici vortici di cupe fronde

e tutti gli ormeggi pericolosamente allenta

e tutti i battelli alla fonda.

Tu sei sempre accanto a me.

Tu non mi hai mai abbandonato.

Tu sarai ogni giorno con me,

fino a che cesserò di respirare.

Forte,

come l'edera,

avvinghiati a me,

in un caldo e sicuro,

tenero amplesso,

come se il nume del terrore

nel cuor ti perseguitasse.

Si, talora ho scorto

nelle tue lucenti pupille,

inquietanti,

alcuni spettri favolosi,

bizzarri.

Eppure,

eppure, adesso,

mia innocente,

fragile bimba,

mi doni il respiro

di bianche ninfee

e mi accorgo

che la tua

come giglio candida pelle,

delicata,

è ancor più profumata.

Fuori il maestrale assassino,

sta sconvolgendo,

tormentando le ultime,

diafane libellule,

sta staccando del tardo autunno,

le ultime foglie rugose.

Il mio amore per te

si fa sempre più grande.

Il desiderio

delle tue meringate

labbra di pesca

si fa sempre più folle,

più ardente.

Solo il mistero dell'amore

ti può tenere con me.

Ma dimmi,

se lo sai,

cosa ti spinge ad amarmi?

*

Tranquillità e pace

 

La forza dell’universo

sta ghermendo ogni dominio di me.

Mi pervade.

Mi sento alieno da me stesso.

In questo istante,

mentre la tranquillità e la pace

irrompono in me,

non riesco a capirne il senso,

il perché.

Avverto l’estasi della tranquillità,

della pace.

I momenti mutano,

l’umanità continua a cambiare,

ma la consapevolezza della tranquillità,

della pace, della loro beatitudine,

permangono identiche.

Sono i soli ideali in cui credo,

i soli ideali che in me non muoiono mai.

Soltanto loro

possono definire la mia essenza più pura.

La tranquillità e la pace,

paragonabili alla sensibilità riverberata

di un tardo crepuscolo ricco di gemme,

sono riflesse al di sotto,

come in uno specchio liquido.

Il viso che si staglia nella volta celeste

è in profonda riflessione…

E’ la bianca e lucente divinità notturna

che dona interiorità, quiete, tolleranza.

Questo momento è un magico incanto.

Scenderò a trovar quiete nell’intimo,

per poi scandagliare gli abissi

della mia tranquillità, della mia pace,

là, dove esse si fondono

con il misticismo del creato.

Non odo più il fragore,

l’imperversare del mondo.

Non ho più preoccupazioni.

Voglio soltanto anime

capaci di cantare in coro

con la mia tranquillità,

con la mia pace,

oppure godermi il distacco.

Ma questo è il momento

di tornare nel mio io,

alla mia realtà.

Lo so,

le percezioni ed i presagi

che mi giungono in questi attimi,

fioriranno quel giorno,

e soltanto quel giorno,

quando avrò totalmente

aperto il mio cuore al creato.

*

Resterò a guardarti

 

E planerò, lentamente, con ali di zucchero,

sulle diafane gote del tuo dolce bel viso.

Le sfiorerò, con leggiadria, con blando tepore.

Resterò a guardarti, resterò muto.

Anelo trovare ristoro dentro di te,

percepire di nuovo, più forte,

il respiro della tua anima,

ch’al giorno ancor non s’è desta.

*

Uno zefiro soave

 

I giorni si susseguirono,

noncuranti di soste.

Del tuo dolce bel viso,

esaltarono soltanto l’oblio.

Uno zèfiro soave,

mi lusingò con aspre illusioni.

Maggio era nel suo splendore.

Tra le gemme delle sue rose,

mi illusi di trovare te.

*

Scrivi un romanzo

 

Non fermarti,

diventa Regina del tempo.

Scrivi un romanzo,

con lingue fiammanti

che incendiano il cuore.

Sarò difensor delle tenebre

…delle tue fantasie,

che laggiù dimorano.

Con le mie dita,

gentilmente toccherò le tue labbra

…con un’infinità di sguardi,

respirerò la tua pelle.

*

L’anima integra

 

Non esiste un’anima grande

e non esiste un’anima piccola,

perché l’anima è l’espressione di Dio.

I petali del giglio ed i raggi del sole,

si equivalgono.

Tuttavia,

l’ego vuole svettare tra la massa, distinguersi.

Vuole sottomettere la natura

e deve confrontarsi incessantemente.

Ogni patema deriva da questi confronti.

L’anima pura,

è quella che ha smesso di competere

spinta dalla voglia di primeggiare,

di sentirsi a tutti i costi,

vanitosamente, la migliore.

L’anima integra è quella che non ha più voglia

di salire sul palcoscenico

per sostenere un ruolo eccezionale.

Quell’anima ha preso le sembianze di un giglio

o di una lacrima di brina su una ghianda di quercia.

Quell’anima si è integrata con l’universo.

Si è armonizzata, dispersa,

amalgamata con le acque del mare,

e adesso,

adesso ne è soltanto una goccia.

Quell’anima non sa più

cosa sia l’individualità.

E’ dalla terra concimata dalle spoglie dell’ego,

che nasce la purezza di un giglio.

*

Alla mia malinconia

 

Pur s’è confuso tra le fioche luci il tramonto.

Il mondo non s’è accorto

delle tue dita intrecciate alle mie,

nell’oscurità di cobalto

che inizia ad ammantare il creato.

Gioisco dal mio balcone,

del delirio della maestà di luce

calante sopra le cime, laggiù.

Talora, similmente all’acciaio,

mi si incendia un lembo di tramonto

in mezzo alle dita.

E mi sovvengo di te, del tuo cuore assillato

dalla stessa malinconia che vedi in me.

In quale landa dal cuore arido eri in quel tempo?

Per quale motivo mi avvolge

l’intero sentimento, repentinamente,

allorché mi ritrovo malinconico

e ti percepisco distante?

Dalle mie mani mi son scivolate le poesie,

quelle che di solito leggo al calar delle tenebre.

Ogni volta, ogni volta che mi lasci al tramonto,

mi sento come le vette laggiù,

risucchiate dal vortice del buio.

*

Residue utopie

 

Quelle poesie disarmoniche dentro il baratro,

scosse dalle funi ch’appartengono alla falsità.

Un tramestio di animali selvaggi,

folgori, nella quiete che è mia,

preannunciano della novissima carezza,

la più aspra tenerezza,

al di sotto di quelle pupille d’argento.

Suggestivo, certo,

però misto ad aria funesta.

Si disintegrano

le mie residue utopie.

Boccioli alienati di acide spiegazioni.

Aculei innati della mia rosa.

E mi sento addosso una decadente morte,

come risucchiato dal nulla.

Mi sento vivere il preludio del mio inverno,

coperto da una coltre di rami secchi

e bacche putride.

E dopo,

il commiato algente

scaglia tra le fiamme

le utopie che mi appartengono,

e poi me, eclissato,

in un uragano scagliato.

Sfiora l’epidermide

l’angoscioso sentimento

e sembra quasi di percepire

un’aurora dai toni

sfumatamene scarlatti,

morirmi sopra le palpebre chiuse,

non potendo dischiuderle

ad una nuova utopia.

L’esistenza…

Quanto atroce è questo

martirio che provo

nell’immergermi in quel sole

risucchiato da un vortice

di plumbee nubi…

Dalla sabbia

il vento ha cancellato

anche le mie ultime

tracce…

*

Il rimbombo

 

Spirito senza catene,

tu non smetterai mai

di posare il tuo sguardo sul cielo,

perché il cielo è il tuo riflesso.

Tu scorgi,

nel perpetuo alternarsi

dei suoi colori,

le pieghe più profonde

del tuo io,

della tua aspra voragine.

Sei felice di penetrare

nella tua figura riflessa,

che avvinghi in uno sguardo,

in un amplesso.

Ma adesso, adesso tu hai paura,

perché nel cielo senti

il rimbombo della tua anima,

focosa e ribelle.

Spirito libero,

non c’è chi sia riuscito a sondare

i meandri dei tuoi baratri.

Cielo,

non c’è chi abbia certezza

delle tue risorse più arcane.

Siete premurosi nel conservare

i vostri pensieri più occulti.

E, ciononostante,

vi fate la guerra,

senza misericordia,

senza rimpianto.

Tanto idolatrate

la strage ed il tormento.

Adesso compagni,

adesso rivali…

*

ANASSIMANDRO

Senza catene fluttuava la Terra,

nel suo apeiron,

muto e vasto,

non tenuta,

non sorretta,

come dal respiro eterno sospesa,

di uno sconfinato cosmo.

Scendevano le notti

e iniziavano i giorni,

dall’infuocata ruota del cielo

a sancire l’immanente giustizia,

il ritorno al loro equilibrio sospeso,

di tutte le cose.

Fu Anassimandro che intuì

il denso abbraccio degli opposti,

l’eterno movimento,

in quel mare,

dove trovò genesi la vita,

nel fuoco che accende il lampo,

nei venti che rompono le nubi,

nelle terre pulsanti e umide.

Oh, figlio del tempo,

Anassimandro,

che della trasformazione

il segreto svelasti,

là, dove tutto perisce e rinasce,

laddove il Tutto,

 nel suo destino respira,

tu ci lasci una mappa sconfinata

e la fata morgana dell’indivisibile,

dell'infinito.

 

*

Frammenti di felicità fugace

 

La strada verso il cielo

è un mosaico d’oro,

contornata di fiori,

intrisa dell’armonia di un carillon,

che voglio ascoltare,

di cui mi voglio inebriare,

lasciando calare le palpebre,

lasciando che l’anima sfiori

i luoghi più intimi dei suoi sogni.

I miei occhi sono chiusi,

guizzo nella superficie riflessa

di un lago calmo.

Qui riverbera ogni mio desiderio,

ogni mio profondo sentimento,

l’entusiasmo di momenti effimeri

dal gusto puro,

una brezza incorporea di vera energia.

Una fantasia inseguita, patita,

perché sentimenti non c’erano.

Frammenti di felicità fugace,

che invitano all’amore.

Un bacio intriso di grande bagliore,

un pianto di gioia,

lievemente lambiti dagli occhi,

sono l’agognato ristoro dell’anima.

Sono arrivato! Ma dove?

In quella landa,

in quel meandro infinito

di cui nessuno ha memoria,

mascherato di buie promesse,

ma che urla forte

tra i rapidi bagliori che diffonde,

perché odia esser dimenticato.

Fantasticare con l’immaginazione

non è difficile,

è sufficiente desiderarlo.

Accorgersi all’improvviso,

di avere le pupille tinte

di altre sfumature,

di un arcobaleno mai visto

e vedere, che quel raggio di sole,

già scalda le mani,

ed è una sensazione soave, sconfinata…

Tuttavia, il raggio può bruciare;

una bruciatura soave tra gli anfratti

dell’amore,

una bruciatura soave della pelle che freme,

delle vene rigonfie di sangue,

della bocca tenera e levigata.

Accoglimi dentro di te,

là, dove i tesori più preziosi sono nascosti,

tra i germogli e gli aromi della tua anima…

*

…di un demone occulto

 

Mi sento come un relitto,

come un naufrago,

dalle labbra riarse dalla salsedine,

dalla pelle strinata dal sole.

Un relitto, un naufrago,

solo, smarrito,

su una zattera sperduta,

alla deriva,

in balia di un estuoso,

strano oceano alieno.

Un oceano,

che par somigliare all’afflato

di un demone occulto,

che mi centrifuga,

che mi stordisce!

S’addensano scuri nembi all’orizzonte,

forieri di pioggia.

Già, ma è pioggia acida

e sotto,

solo squali e piranha!

Ogni cosa sembra avere

il carattere di una relatività estrema

e allo stesso tempo di un caos

paradossalmente assoluto.

Vorrei tuffarmi nell’irreale,

nel mio labirintico Es.

Ma oggi no!

Oggi non potrò fuggire

dalla realtà del mio Ego!

*

Il pianeta (*)

 

Crudele è questo anelito di vita!

Prive di suoni le sue psichedelie!

Amaro è il disinganno nel non trovar

la non caduca gioia!

Il pianeta gira,

perché granitica è l’arcana mente

che lo fa girare.

Il pianeta,

una burla atroce del creato.

Inferno florido o ègro paradiso?

Teratomorfa creatura

di un cinismo divo o della spuria copula

tra una mantide cosmica ed alieno un leviatano!?

Fallace, subdola è la chimera che mi nutre,

con occhiate,

frigidamente remote, mellifluamente seducenti.

Mistificatrice pania, viscosa, che mi irretisce,

che mi tormenta.

Algidamente languidi i suoi sguardi.

Vuoti i suoi giuramenti, che dolorosamente lacerano.

Frivola è la poesia che partorisce,

che mi illude:

libero, nel dire,

libero, nel fare.

Battitore son condannato sugli scalmi in ceppi,

a vogar s’una galèa, al ritmo d’un fatal tempo,

che giammai lo scandir suo muta!

A cosa serve la vita,

voragine priva di fiori,

onde spenta pur una stella annega!

Quanta forza mi è stata data,

al sembrar carisma, invero lancia spuntata.

La vita è sofferenza, la vita è dolore, la vita è morte.

Clòto mi ha estirpato dal caos primordiale.

Làchesi mi smeriglia con terebrante dolore.

Atropo, infin, mi rapirà da questa vita,

al suo ineluttabile,

eterno, sublime volere.

 

(*) “Pianeta” è anche sinonimo di “Destino”= Le Moire

*

…Selene d’argento

 

In una corrente fluida di congetture,

mi alimento di complesse,

paradossali acrobazie mentali,

e libo l’immenso, notturno universo.

Taglienti,

algide lastre scompaiono,

tra turbinii di miscele esplosive,

tra impalpabili frammenti trasportati dal vento.

Vette maestose,

illuminate da fioche galassie,

silenti s’inebriano d’un aere terso.

Ed intanto,

i tuoi tepidi raggi,

Selene d’argento,

sinuosi scendono,

fino ai penetrali più reconditi della mia anima,

là, dove vibrano i simulacri delle mie ossessioni,

là, dove cinicamente respirano,

sorde, immobili,

cariatidi,

le mie divinità tutelari.

Laggiù,

soltanto tu sai vedere,

senza giudizio,

senza condanna,

le mie fantastiche,

mostruose chimere,

mentre mi braccano,

come lancette ritmiche di pendolo.

                                                         Pochi, molti, minuti, secondi,

                                                                       labili, eterni.

                                                            Marcia a ritroso nel tempo,

                                                                        mai statica.

                                                    Traguardo in perpetuo movimento.

                                                              Paradosso di due binari

                                                         che non s’incontreranno mai,

                                                                   simboli di una vita,

                                                                      che i tuoi occhi,

                                                                    Selene d’argento,

                                                                    ancora riflettono,

                                                      nel lago delle poesie clandestine.

                                                                             *

Natale nel Labirinto

 

E’la Vigilia di Natale

senza fretta cammino

sovrastato da un cielo plumbeo.

Veliero relitto

in mezzo al cemento.

La pioggia fredda s’insinua

tra le crepe del legno

e poi la sento

ancora più giù.

Le palpebre sono pesanti

ma aleggia un’arpa nel cuore.

Poi

la scossa di una brezza

che chiude un capitolo

che ne apre un altro.

Per salutare

il primo sacro vagito

del Bambinello Gesù

per non lasciarlo glissare

nel nepente torpore dell’oblio

come nave in kermesse

con guarnizioni variopinte

impaveserò il mio Labirinto.

La nave (*)

(*=Traslato: L’esistenza, il corso della vita/F. Petrarca)

che la mia nave

“Passa la nave mia colma d’oblio/

per aspro mare”

(Francesco Petrarca)

almen in questo tempo d’Avvento

non s’imbatta in onde increspate!

Sui propilei del mio Labirinto

del mio delubro dell’Io

d’iridescente madreperla

intarsierò il buon umore

nei suoi meandri lascerò fluire

diafani e puri torrenti di gioia.

Tra i rami tra le foglie tra gli aghi

del mio Albero di Natale

del mio intrecciato biodendro (*)

(* Bio=vita///-dendro=albero///Albero della Vita-Cabala ebraica)

dell’albero

del mio veliero d’alto bordo

tra il frastuono

di vele quadre e bompresso

dal maestral sconquassati

soffocherò il mio crepuscolarismo

le mie sofferte rinunce

le mie inquietudini

le mie malinconiche

gozzaniane tristezze

vi farò brillare

intermittenze

di giochi di luce

di caleidoscopi

di giochi di specchi rotanti

vi accenderò la speranza

vi farò vibrare la fede

e sotto

tra i regali

la carità

druda

vi farò germogliare.

Benvenuto Cristo Gesù

Animae Salvator Meae!

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Published on e-Stories.org on 25.09.2012.

 
 

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